Background e Introduzione
Un elemento dentario non si presenta necessariamente scuro alla vista di un osservatore esterno. Il colore può essere influenzato da vari fattori, quali: diastemi, parodontite, posizione del dente, spessore dello smalto, riflessione della dentina o dalla combinazione di tali elementi. I denti scoloriti sono frequentemente riscontrati nelle pratiche odontoiatriche e rappresentano una sfida significativa per i professionisti del settore. Lo scolorimento può essere limitato a un singolo dente o/a più denti in una singola arcata oppure può essere generalizzato ed evidente su tutti i denti. È fondamentale riconoscerne la causa e gestire di conseguenza la discromia. In generale, l’intervento dei dentisti è essenziale per trattare lo scolorimento sostanziale dei denti. Il ruolo dell’igienista dentale è cruciale, poiché rappresenta il professionista che vede più frequentemente il paziente durante le sedute di controllo e i richiami periodici per l’igiene orale. Grazie a questi incontri regolari, l’igienista dentale è in una posizione privilegiata per intercettare e monitorare la discromia dentale nel tempo, intervenendo tempestivamente per evitare un peggioramento del colore. In alcuni casi, la seduta di igiene orale professionale e la fase di polishing e air-polishing dei denti miglioreranno la situazione; tuttavia, spesso è necessario un trattamento più esteso per ottenere un risultato soddisfacente. Le opzioni di trattamento includono sbiancamento vitale e non vitale, microabrasione, faccette in composito e porcellana e corone in porcellana. A volte questi trattamenti sono combinati per un risultato più positivo. Le discromie dentali si classificano in: estrinseche, intrinseche endogene (pre-eruttive), e intrinseche esogene (post-eruttive). Le estrinseche, possono essere elencate come: (black stain, collutori, cibi e bevande, fumo, scarsa igiene orale, metalli pesanti, integratori alimentari, cattive abitudini), le Intrinseche endogene pre-eruttive sono: DDE, (difetti dello smalto), amelogenesi imperfetta, dentinogenesi imperfetta, fluorosi, M.I.H. (Molar Incisor Hypomineralization), trauma di dente deciduo, malattie sistemiche, celiaci, e tetracicline, invece le intrinseche endogene post-eruttive sono: modifiche pulpari, white spot da decalcificazioni, parafunzioni, lesioni cervicali non cariosa, materiali da restauro, età (1). È chiaro che saper distinguere una discromia da lesioni più importanti come elementi non più vitali è alla base delle nostre conoscenze, perciò è specifico essere consapevoli dell’interazione della luce con lo smalto e la dentina e con i componenti di cui saranno riempiti successivamente la dove c’è ne sarà bisogno. Quando la dentina si è scolorita, la luce verrà assorbita piuttosto che riflessa o trasmessa, conferendo al dente un aspetto scuro. Quando ciò accade, la luminosità del dente si riduce. La misurazione della luminosità può essere utilizzata per tracciare l’oscuramento della struttura del dente, mentre l’analisi dei singoli canali di colore rosso, verde e blu delle immagini digitali può rivelare se ci sono cambiamenti nella tonalità fondamentale dei denti a causa del trattamento eseguito (2). Considerare le interazioni della luce con i denti è importante anche per capire come la luce che penetra attraverso i denti e può interagire con i materiali endodontici utilizzati per l’occlusione del canale da parte dell’Odontoiatra. Come mostrato nella Figura 1, la luce può essere trasmessa attraverso la struttura del dente e riflessa dai confini come la giunzione dentino-smalto. Queste interazioni variano a seconda della lunghezza d’onda. Le lunghezze d’onda gialle e rosse più lunghe della luce visibile vengono trasmesse facilmente attraverso lo smalto e la dentina, causando il colore giallo intenso/arancione della dentina. Al contrario, le lunghezze d’onda visibili più corte come la luce blu non vengono trasmesse così facilmente. Invece, questi sono molto dispersi e vengono riflessi dallo smalto. Di conseguenza, viene trasmesso solo il 5%–10% di luce blu per mm di dentina (3). La bassa trasmissione della luce blu è rilevante per gli effetti sulle tetracicline (3). Un riepilogo delle interazioni della luce con la struttura del dente:
- sezione di un incisivo centrale mascellare umano che mostra alcune delle principali interazioni ai confini dello smalto e della dentina, con la luce riflessa e diffusa;
- una rappresentazione semplificata delle interazioni della luce con smalto e dentina. Sulla superficie del dente vi è riflessione e dispersione, ma assorbimento limitato.
Con la trasmissione nel dente si verificano ulteriori eventi di riflessione, diffusione e assorbimento (1). Il trauma dentale con necrosi pulpare può determinare quindi una discromia anormale attraverso differenti meccanismi patogenetici con il risultato di colorazioni differenti a secondo del tempo della necrosi e dello scolorimento: dentina reattiva, emorragie e necrosi pulpari, dentina reattiva successivamente a trauma ma il dente rimane vitale producendo una quantità di dentina di reazione, che provoca una perdita di trasparenza e relativa discromia, ma la più frequente delle discromie è l’emorragia pulpare, seguita dalla rottura del plesso arterioso con una interruzione di ritorno dei globuli rossi che invadono i tubuli dentinali. Queste discromie prima che il paziente le intercetti a meno che non sia evidente e netta, permangono per molto tempo e saranno trattate con sbiancamento interno previa terapia endodontica eseguita dall’Odontoiatra e poi con tecniche: in office-internal bleaching (TO), walking bleaching (WB) o ibrida (TI), ma a secondo della discromia e al tempo dell’evento traumatico causale, vi sono anche variazioni di predicibilità del risultato (4).
Altre cause di discromie sono, cementi endodontici, materiale da otturazione, medicamenti, che rilasciano sostanze altamente coloranti a livello dentinale, anche qui la più frequente sono sempre i residui pulpari post terapia endodontica. In vecchi studi clinici con vecchie tecniche ormai obsolete e abbandonate da decenni, potevano creare problematiche di riassorbimenti interni, l’eziologia dei riassorbimenti post-bleaching interno era dovuto ad azione dei macrofagi oppure a variazione di PH o ancora a denaturazione delle proteine dentali. Gli agenti ossidanti della terapia endodontica favoriscono la denaturazione delle proteine anche grazie alla variazione di PH indotto. Il riassorbimento esterno invece è dovuto alla penetrazione del perossido nei tubini dentinali con conseguente estensione del processo infiammatorio ai tessuti parodontali. Ma studi clinici recenti confermano che le cause di riassorbimento si dovuto per 24,1% trattamenti ortodontici 15,1% traumi, 5,1% reimpianti, chirurgia orale e solo del 3,9% sbiancamenti interni devitali. Ed aumenta l’incidenza in caso di: denti con terapia endodontica in seguito a trauma, o con tecnica termocatalitica, dove, dopo applicazione di perossido o perborato di sodio si applicava una fonte di calore non controllata sino alla evaporazione della sostanza in situ, un sigillo sulla guttaperca non ermetico ed alte concentrazioni di perossido di idrogeno (rischio molto basso se buon sigillo sulla guttaperca) (5a). Questa tecnica non è più eseguita poiché molto rischiosa per la salute dentale del paziente.
Materiali e Metodi
Nei case report considerati, le cause di discromie sono tutte traumatiche con cadute accidentali e colpi subiti al viso, i pazienti del caso 1 e 2 presentano un parodonto con biotipo gengivale di tipo sottile (5b), nel primo case-report è presente un gummy smile con esposizione media denti visibili al 75% / 100% della loro altezza (10). l’elemento è un incisivo 2.1, il paziente nota la netta discromia dell’incisivo e vorrebbe risolverlo per un’importate disagio sociale, si esegue terapia endodontica da parte dell’Odontoiatra, preparazione e sigillo della guttaperca con parametri e distanze dal materiale endodontico con materiali vetroionomerici (CVI) (Fig. 1C-6). Una volta sigillata e messa in sicurezza la guttaperca da parte dell’Odontoiatra per evitare che il perossido possa invadere gli strati di guttaperca, l’Igienista dentale effettua lo sbiancamento di denti non vitale interno con tecnica ibrida (TI), cioè 5 sedute di applicazione di perossido di idrogeno esterno ed interno e cambio di medicamento con perossido di carbammide in ogni seduta, si rilascia il PI all’esterno ed interno e si fotoattiva, prima di medicarlo si rilascia all’interno il PC al 12% e si medica con cementi provvisori da medicamento. Il paziente nei giorni a seguire nota il viraggio e ci chiede di effettuare lo sbiancamento su tutti i denti, ed effettuiamo tecnica domiciliare con mascherine personalizzate con tecnica a bisello modificato e senza serbatoi (6a) con applicazione di perossido di carbammide al 12% per 14 notti (Fig. 7-18). Nel secondo case-report il paziente aveva l’esigenza di curare la sua bocca in toto, era presente una necrosi e discromia del 2.3 da circa 10 anni (Fig. 19-25). Eseguito il flusso terapeutico endodontico ed il sigillo della guttaperca con le dovute distanze da parte dell’Odontoiatra, rieseguiamo la tecnica di sbiancamento dei denti non vitali interno (TI) con, in questo caso 6 sedute di applicazione dei gel sbiancanti a base di perossido di idrogeno PI al 35% esterno ed interno e cambio di medicamento con perossido di carbammide PC al 12% nella stessa seduta. Nel terzo case-report il paziente si reca presso la nostra struttura per aver notato la discromia dell’incisivo 2.1 (Fig. 26-28). Da anni voleva eseguire una terapia e gli era stato consigliato sempre di effettuare una protesi fissa sull’elemento. Una volta diagnosticata la necrosi decennale e completata la terapia endodontica dell’elemento dentario, con protezione della guttaperca mediante cemento vetroionomerico (CVI) da parte dell’odontoiatra, l’igienista dentale, all’interno di un team odontoiatrico, esegue lo sbiancamento utilizzando la tecnica ibrida (TI) (Fig. 29-34).
Discussione
In tutti e tre i casi, se si volessero eseguire delle corone in zirconia o altro, con materiali altamente traslucidi e opachi, per ricercare l’effetto di opalescenza e translucenza, il problema potrebbe persistere a livello del margine gengivale dove c’è massima trasparenza tissutale, soprattutto nel secondo case-report dove la paziente presenta un biotipo gengivale sottile.
Quindi prima di poter pensare di protesizzare un elemento dentale con questa problematica, è sempre opportuno una valutazione della linea del sorriso e degli spessori gengivali presenti, poiché con la tecnica che descriveremo, minimamente invasiva, lo sbiancamento dei denti non vitali può essere un ottima alternativa alla protesi, soprattutto in pazienti giovani e con tutti i rischi medico-legali che bisogna affrontare quando si intraprende un una cura di riabilitazione protesica dentale. L’efficacia dello sbiancamento dei denti non vitali è influenzata dal tempo trascorso dopo il trattamento endodontico e dal tempo di necrosi dentale (9). C’è una carenza di scienza basata sull’evidenza nella letteratura che affronti la prognosi dei denti non vitali sbiancati. Pertanto, è importante essere sempre consapevoli delle possibili complicazioni e dei rischi associati alle diverse tecniche di sbiancamento e alla fragilità di questi elementi sottoposti a denaturazione e ad apertura della camera, anche se oggi le nuove procedure permettono di conservare il più possibile la camera attraverso degli accessi detti “ninja access”, proprio per la loro minimale lavorazione coronale (10). La tecnica scelta per tutti i casi presentati in questo articolo, la più prevedibile sia in termini di tempi che di soddisfazione del paziente, il quale si recherà in ambulatorio ogni 5-7 giorni, è la tecnica ibrida (TI). A differenza della tecnica in-office (TO) e della tecnica home-based (WB), la tecnica ibrida consente di accedere alla camera pulpare dopo la conclusione del trattamento endodontico e la preparazione della camera da parte dell’odontoiatra. Questo prepara il campo per l’applicazione del perossido di carbammide (CP) e/o del perossido di idrogeno (PI) a basse concentrazioni da parte dell’igienista dentale. Successivamente, un perossido di idrogeno ad alte concentrazioni (35%) viene applicato sia all’esterno che all’interno della camera pulpare. Nei nostri casi clinici, è stato utilizzato il PI (Blancone ULTRA +, IDS spa, Savona) attivato con la lampada (Arcus BlancOne, IDS spa, Savona) per tre cicli da otto minuti ciascuno. Al termine di questo processo e dopo un abbondante risciacquo, è stata eseguita una medicazione con rilascio interno di CP al 12%. In questi casi è stato utilizzato un perossido di carbammide con pellets di cotone e pasta da medicazione (Blancone HOME night +, IDS spa, Savona). Questo procedimento si ripete sino al completo equilibrio e uniformità del colore con l’adiacente, in genere 3/5 sedute, in alcuni casi possiamo veicolare lo sbiancante dall’esterno con mascherina termostampata personalizzata che il paziente applicherà tutte le notti solo sull’elemento da trattare, sino al completamento del viraggio di colore, per accelerare il processo di sbiancamento. La TI (tecnica ibrida), rispetto alle altre tecniche, è potenziata dal rilascio del perossido di carbammide che farà il suo lavoro nei giorni successivi all’appuntamento, mitigando il risultato nel tempo, e non solo all’appuntamento con l’operatore, al termine del processo di sbiancamento interno dei denti non vitali, sarà eseguita un’ otturazione con materiali in composito per favorire la translucenza del colore raggiunto da parte dell’Odontoiatra. La gestione dell’aspetto coronale della cavità di accesso è un fattore chiave, che è assolutamente effettuato da un Odontoiatra, poiché una cavità ad accesso aperto consente sia all’acqua che all’ossigeno di entrare nel sistema canalare e favorire lo scolorimento, quindi si esegue un sigillo perfettamente ermetico sia del medicamento quanto dell’otturazione definitiva (12). Quanto durerà un elemento sbiancato non vitale? Considerando la casistica di uno studio clinico che comprendeva 50 pazienti (fascia di età 7-30 anni), selezionati tra coloro che frequentavano la Clinica Odontoiatrica dell’Università “Federico II” di Napoli, tra il 1987 e il 1989. Dopo 16 anni, solo 35 casi potevano essere valutati: in 22 di questi casi (62,9%) il colore era rimasto stabile ed era simile a quello dei denti adiacenti, indicando un esito positivo della tecnica di sbiancamento ibrida TI. Ci sono stati 13 casi (37,1%) classificati come fallimenti a causa della marcata ricaduta del colore. La radiologia ha mostrato che nessuno dei casi riesaminati aveva subito un riassorbimento radicolare interno o esterno.
Conclusioni
Questi risultati confermano la validità della tecnica ibrida di sbiancamento intracoronale in termini di efficacia, rapidità del risultato estetico e di sicurezza. Intercettare il prima possibile la discromia, è il compito di tutto il team odontoiatrico (Odontoiatra e Igienista dentale), che in maniera minimamente invasiva risolve l’inestetismo in zona frontale di un dente discromico, facilitata dalla tecnica, oltre che della stabilità del colore ripristinato a distanza di anni (14). Le faccette, corone o altro non sempre devono essere la prima scelta terapeutica, soprattutto in era di mininvasività e conservazione dei tessuti, dove il fattore parodontale è la chiave del successo per lo stato di salute di una bocca.