Nell’ultima decade si è assistito alla nascita di protocolli riabilitativi per l’edentulia totale di una o entrambe le arcate basati sul ricorso al posizionamento di 4 (o più raramente 6) impianti, dei quali i due più distali inclinati di 30°/45° verso le zone posteriori del mascellare edentulo (tra di loro solidarizzati) che si sono rivelati particolarmente efficaci nei casi di avanzata atrofia ossea, in quanto permettono il più delle volte di evitare il ricorso a procedure chirurgiche di aumento della volumetria ossea al fine di rendere possibile il posizionamento di un numero congruo di fixtures con assi di inserzione paralleli ed atte a supportare un full-arch.
Il grosso vantaggio chirurgico di questi protocolli risiede nel fatto che il posizionamento inclinato delle fixtures distali consente di fatto di ottenere delle emergenze protesiche adeguate, pur evitando di coinvolgere strutture anatomiche come i seni mascellari o il canale alveolare.
Il fatto che queste tipologie di riabilitazione abbiano rapidamente incontrato l’approvazione dei clinici e dei pazienti è dovuto principalmente a diversi fattori, tra i quali spiccano:
la possibilità di procedere in una unica seduta alla bonifica dell’arcata da riabilitare (ove nececessario), al posizionamento dei 4 (o 6) impianti ed al carico immediato degli stessi con una protesi provvisoria avvitata e provvista di 10 elementi;
la minore invasività delle tecniche laddove per procedere alla riabilitazione con metodiche tradizionali sarebbe stato necessario prima operare un incremento dei volumi ossei, facendo così allungare i tempi necessari alla riabilitazione e, inevitabilmente, innalzando il costo biologico della stessa;
il minor costo economico che il paziente deve sostenere rispetto a procedure di riabilitazione più convenzionali.
Parallelamente, sempre più studi scientifici dimostrano inoltre come la sopravvivenza a lungo termine di questa tipologia di riabilitazioni, nota ai più con nomi commerciali come “all on four” o “teeth just on four” solo per citarne alcuni, sia del tutto sovrapponibile alla percentuale di sopravvivenza di analoghe riabilitazioni su impianti posizionati secondo protocolli tradizionali.
Il progetto caratteristico di queste tipologie di implantoprotesi può porre però alcuni ostacoli alle manovre di igiene orale professionale, principalmente derivanti dalla morfologia della componente “ortopedica” delle protesi stesse, intendendo con questo termine la porzione protesica deputata a rappresentare la quota mancante di tessuto gengivale andata perduta a seguito dell’atrofia ossea e necessaria nella sua rappresentazione al fine di poter fornire al paziente degli elementi dentari protesici di dimensioni congrue e non sovradimensionati.
Questa necessità di andare a ricreare buona parte dell’anatomia gengivale delle arcate dentarie impone che nel realizzare il manufatto si debbano realizzare delle flange di colore rosa di importante dimensione verticale che, apicalmente, vanno a contatto con la mucosa che ricopre il mascellare. Inoltre, osservando una “sezione” di queste protesi si può apprezzare come talvolta essa potrebbe mostrare un andamento concavo (che di fatto rispecchia la sezione del mascellare edentulo), con una maggior estensione apicale sui versanti vestibolare e linguale/palatale, a ricreare un contatto omogeneo con la cresta osseomucosa residua. Questi canoni di natura progettuale e realizzativa, peraltro legati al poter garantire al paziente una corretta rifunzionalizzazione (fonatoria, masticatoria, estetica) dell’apparato stomatognatico, rappresentano però un ostacolo morfologico sia alle manovre di igiene orale professionale che al rilevamento degli indici clinici necessari a determinare il grado di salute dei tessuti perimplantari, anche alla luce del fatto che si tratta di dispositivi fissi, e quindi non rimovibili durante le periodiche sedute di igiene orale professionale che devono essere effettuate nel follow-up a medio e a lungo termine.
Ricordiamo in tal senso quanto sia importante, nel mantenimento di una qualsivoglia riabilitazione implantoprotesica, il monitoraggio a intervalli di tempo costanti della salute e della stabilità dei tessuti perimplantari attraverso la registrazione e il controllo reiterato nel tempo di specifici indici clinici, quali la profondità di sondaggio, il sanguinamento al sondaggio, la presenza o assenza di suppurazione e la valutazione di una eventuale mobilità delle fixture.
E proprio il design che caratterizza questa tipologia di sovrastruttura protesica rende a volte difficoltoso per l’operatore l’accesso ai siti perimplantari, configurando il rischio concreto di non avere condizioni favorevoli al rilevamento di questi parametri quando non addirittura rendendo impossibile alcun tipo di valutazione degli stessi.
Va inoltre ricordato come attualmente non si dispone sul mercato di strumenti diagnostici (sonde per siti implantari) dotati di caratteristiche meccaniche tali da permettere un accesso atraumatico ai tessuti perimplantari laddove presenti queste tipologie protesiche. Anche le manovre di igiene orale professionale attuate per la rimozione di placca e tartaro si dimostrano più difficoltose ed indaginose su questo tipo di implanto-protesi: il raggiungimento degli abutment con lo strumentario professionale (meccanico o manuale) necessario per l’esecuzione delle procedure di igiene è infatti normalmente complicato dal fatto che spesso gli stessi risultano essere quasi completamente nascosti dalla struttura protesica, ad essi connessa per mezzo di giunti a vite.
Sempre le peculiarità specifiche delle riabilitazioni full-arch avvitate su impianti inclinati hanno spinto a effettuare alcune riflessioni su cosa utilizzare per la profilassi professionale di igiene orale su queste tipologie di implantoprotesi. Varie analisi cliniche condotte, tra cui alcune su ampia casistica proprio presso la Clinica Odontoiatrica dell’I.R.C.C.S. Ospedale San Raffaele, hanno permesso di concludere che ad oggi il trattamento professionale di queste protesi debba essere eseguito, di preferenza, con il ricorso ad una combinazione di inserti plastici per ultrasuoni, sistemi di air-polishing con polvere di glicina a media granulometria per il deplaquing delle porzioni visibili della protesi ed a bassa granulometria con puntale “perio” per la detersione della base protesica a contatto con l’osseo-mucosa ed infine all’impiego del filo interdentale spugnoso per l’igiene dei monconi implantari.
Va tuttavia ricordato che, durante le manovre professionali con l’ausilio di strumentazione meccanica, è necessario tenere in considerazione che il design degli inserti utilizzabili è tale da non consentire comunque un facile raggiungimento della base della protesi in appoggio mucoso e delle aree prossime alle emergenze degli impianti, facendo sì che le manovre professionali possano risultare non completamente efficaci, non consentendo il completo deplaquing e la rimozione di eventuali depositi di placca e tartaro dalla totalità delle superfici implantoprotesiche. Sempre in riferimento alla base della protesi deve essere sottolineato come le difficoltà incontrate durante la detersione di quest’area siano strettamente dipendenti dall’andamento concavo che mostra avere in senso vestibolo-linguale o vestibolo-palatale, in quanto questo design crea delle “zone d’ombra” difficilmente raggiungibili con la strumentazione, introducendo una complicazione sia alle manovre professionali che a quelle domiciliari.
Un aspetto peculiare riguarda poi le protesi provvisorie, che normalmente accompagnano il paziente fino al completamento della fase di osteointegrazione, ovvero per un periodo di circa 4-6 mesi durante i quali, vista l’impossibilità di deconnessione delle protesi, questo tipo di problematiche sono particolarmente evidenti.
Data la ridotta durata prevista di queste protesi, i materiali di costruzione sono spesso rappresentati da resine acriliche, in alcuni casi applicate in modo diretto alla poltrona, oppure immediatamente al termine della seduta operatoria.
Per la natura dei materiali impiegati nella realizzazione dei provvisori, la superficie protesica è caratterizzata da una porosità molto accentuata, che tende a trattenere con buona facilità residui di cibo e sostanze pigmentanti e si dimostra favorevole all’accumulo di placca.
Sempre in riferimento al provvisorio, poiché non può essere rimosso prima che siano trascorsi 4/6 mesi dal suo posizionamento, la base stessa della protesi che va a contatto con l’osteomucosa deve idealmente avere una sezione tale da contrastare il più possibile l’accumulo di placca e cibo, a tutto vantaggio di una più facile detersione domiciliare e professionale.
Da un punto di vista progettuale sarebbe quindi ideale, quando sussistono caratteristiche morfologiche orali e periorali adeguate, che la superficie protesica (provvisoria o definita) sia in intimo ma, contemporaneamente, lieve contatto con la superficie osteomucosa e le forme della base protesica siano adatte a consentire lo scorrimento dei presidi igienici al di sotto di essa, abbandonando la sezione concava (che abbraccia l’osseomucosa) in favore di un desing convesso (che contrae contatto con la mucosa senza copiarne integralmente l’andamento). Queste considerazioni di natura progettuale fatte in relazione alle manovre di igiene professionale valgono poi, almeno in parte, anche quando si parla di igiene orale domiciliare.
Va inoltre considerata l’opportunità di evitare un disegno delle flange di tipo lineare a livello interimplantare, in luogo di una forma mammellonata, atta quindi ad impedire l’accumulo di placca e residui della masticazione dei cibi e utile a facilitare il passaggio degli strumenti impiegati per l’esecuzione delle procedure di igiene orale professionale.
Sempre in tema di igiene orale professionale è importante, infine, considerare la necessità di procedere di tanto in tanto allo smontaggio della protesi avvitata (specie nel caso del manufatto definitivo) al fine di poter avere il miglior accesso alle emergenze implantari e permettere una detersione ottimale della protesi con l’ausilio degli strumenti di laboratorio. In letteratura, su questo tema, viene consigliata l’esecuzione dell’igiene professionale con cadenza trimestrale o quadrimestrale, prevedendo lo smontaggio della protesi una volta l’anno, onde evitare il rischio che a causa di ripetuti cicli di svitamento e riavvitamento dei giunti a vite che solidarizzano le protesi agli impianti, si possa incorrere in rotture dei dispositivi di accoppiamento dell’insieme implantoprotesico. Solo in casi circostanziati di problematiche infiammatorie croniche (perimplantite) può essere presa in considerazione l’eventualità di procedere allo smontaggio con maggiore frequenza, avendo cura di sostituire periodicamente le viti che connettono la protesi agli impianti.
In conclusione possiamo affermare che, in relazione all’esecuzione delle manovre di igiene orale professionale, la morfologia protesica è un aspetto di fondamentale importanza, sia che si tratti del manufatto provvisorio sia che si faccia riferimento alla protesi definitiva. La consapevolezza di questi aspetti, del resto, deve essere patrimonio culturale dell’igienista al fine di approcciare la seduta di profilassi professionale con lo strumentario più adatto e operando manovre adeguate alla situazione clinica che si prospetta.
Passando all’ambito dell’igiene orale domiciliare, va tenuto presente come le procedure da attuare non siano comunque molto dissimili da quelle che si devono compiere su riabilitazioni protesiche di tipo più tradizionale, per le quali occorre certamente essere efficaci sulle sovrastrutture protesiche ma anche, e forse soprattuto, a livello del colletto implantare al fine di impedire l’organizzazione di un biofilm patogeno a livello delle mucose perimplantari.
Nel caso di riabilitaizioni su impianti inclinati particolare attenzione deve essere tenuta nelle prime settimane che seguono il posizionamento della protesi provvisoria, periodo caratterizzato da edema e gonfiore dei tessuti, che dunque non consentono l’uso abituale di spazzoli, fili interdentali o scovolini.
In questo periodo l’igiene orale consisterà quasi esclusivamente nel controllo chimico della placca dentale mediante sciacqui con collutori alla clorexidina nelle concentrazioni dello 0,2% o dello 0,12%, preferendo i preparati su base non alcolica, per evitare di produrre episodi di forte bruciore delle mucose sottoposte all’atto chirurgico ed ormai in via di guarigione.
La somministrazione di questa tipologia di collutori si protrae normalmente per 7-14 giorni.
Per quanto invece riguarda la detersione della sovrastruttura protesica, è consigliato l’uso di uno spazzolino con setole ultramorbide (poco traumatico), non tanto per ragioni di salvaguardia dei materiali protesici, quanto per un’azione cautelativa nei confronti delle mucose orali in fase di risoluzione del trauma chirurgico.
Nella fase successiva alla rimozione delle suture (a 7/15 giorni dalla chirurgia), i tessuti devono raggiungere ancora la completa maturazione e, generalmente, in funzione dell’edema, gli spazi tra base protesica e mucosa possono apparire aumentati se non addirittura non si rilevi la quasi totale assenza di contatto tra di essi. È importante a questo stadio istruire nuovamente il paziente all’uso di dispositivi idonei al cambiamento morfologico tessutale ed è possibile introdurre l’utilizzo anche di spazzolini elettrici (con testine il più possibile atraumatiche), nel caso in cui il paziente avesse precedentemente già in uso un tale dispositivo o per ricercare una maggior efficacia nelle manovre di rimozione della placca batterica laddove il paziente dimostri difficoltà nel padroneggiare le tecniche di utilizzo degli spazzolini manuali, risultando quindi non sufficientemente capace nel management del biofilm orale con queste tipologie di presidio.
A termine della guarigione tessutale è consigliato introdurre l’utilizzo di un filo interdentale spugnoso per la detersione delle emergenze degli abutment e della base protesica.
A questo stadio, il paziente avrà ancora dei dispositivi provvisori in resina acrilica, non dotati di particolare resistenza e pertanto a più alto rischio, rispetto alle protesi definitive, di rotture parziali o totali, con aumento della difficoltà nella conduzione dell’igiene orale domiciliare.
Alla luce di tutte queste variabili finora discusse, durante tutto il percorso di educazione del paziente aIl’igiene orale domiciliare dell’implanto-protesi su impianti inclinati, sarà ovviamente di importanza basilare operare un monitoraggio periodico dei progressi del paziente, anche in ragione del fatto che all’aumentare dell’estensione della protesi corrisponderanno maggiori possibilità di formazione, nell’immediato post-chirurgico, di nicchie e recessi favorevoli all’accumulo di placca. Questo aspetto deve sensibilizzare il professionista all’importanza, ancor prima dell’inizio del percorso riabilitativo, della motivazione all’igiene orale del paziente, che in breve tempo passerà da una dentatura parziale o da un’edentulia totale alla presenza di una nuova dentatura “artificiale” e sorretta da impianti.
La motivazione e l’educazione all’utilizzo dei dispositivi di igiene orale dovranno essere il risultato di un percorso graduale, facendo attenzione a non fornire al paziente troppe indicazioni e tutte insieme, per non correre il rischio di generare confusione nel paziente stesso, saturandolo con una mole eccessiva di informazioni. È meglio quindi introdurre un presidio per volta, e non prima che il paziente ne abbia compreso bene l’utilizzo e ne abbia buona padronanza, prima di consigliare l’uso aggiuntivo di un ulteriore dispositivo.
In conclusione, l’integrazione tra un uso quotidiano ed efficace degli strumenti di igiene orale domiciliare specifici, unitamente al protocollo individualizzato di follow-up professionale, è l’approccio che può consentire nel medio e lungo periodo l’integrità della riabilitazione implantoprotesica e dei tessuti che la sostengono, offrendo quindi al paziente una garanzia di sopravvivenza della riabilitazione.