Protocolli clinici a confronto nel trattamento delle lesioni dello smalto

Comparing clinical protocols in the treatment of enamel lesions

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Scopo del lavoro: Il lavoro sviluppato è una revisione di protocolli clinici basati su ricerche sull’identificazione e trattamento sulla demineralizzazione dello strato superficiale dello smalto, noto come “White spot”. Un problema a noi noto nel mondo odierno per le sue sfaccettature ed incomprensioni sull’ argomento: differenza tra una semplice demineralizzazione dello smalto ed ipoplasia(MIH) con diagnosi sul problema e protocolli di trattamento. Abbiamo analizzato gli strumenti per la diagnosi delle malformazioni dentali e valutato le più attendibili, in base alle ricerche effettuate a livello bibliografico e successivamente i protocolli terapeutici che sfruttavano tali strumenti. Ad oggi pochi sono gli strumenti capaci di rilevare con precisione una problematica come la white spot rispetto alla MIH e con essi anche i protocolli per il trattamento dei suddetti. Questo lavoro spinge a rivedere ciò che per molti anni è stato una problematica diagnostica e una indicizzazione del complesso mondo delle malformazioni dello smalto con legami di protocolli, spesso invasivi, di trattamenti innovativi senza reali benefici strutturali o estetici per il paziente. Il ruolo che oggi ricopre l’igienista dentale in sinergia con l’equipe odontoiatrica, ed in particolar modo con l’odontoiatra di intercettare in tempo problematiche legate alla demineralizzazione con protocolli di remineralizzazione indicati al problema riscontrato senza rischio di recidive e con un effetto esteticamente idoneo anche alla volontà e desiderio del paziente. Scopo del Lavoro: L’odontoiatria contemporanea si sforza di offrire soluzioni cliniche per problemi dentali con il minimo coinvolgimento dei tessuti del dente. L’obiettivo del presente lavoro è stato quello di individuare, attraverso ad un’attenta analisi bibliografica, i più moderni approcci terapeutici per il trattamento delle white spots a disposizione dell’Igienista Dentale.
Materiali e metodi: È stata eseguita un’analisi sistemica della letteratura utilizzando la banca dati PubMed, con i seguenti limiti: anno pubblicazioni 2010-2020; lingua: inglese e tipologia degli articoli: linee guida, abstract, case report, studi in vitro e vivo. Lo studio che abbiamo effettuato si basa sulla ricerca di articoli che menzionassero trattamenti e strumenti diagnostici, utilizzati per riconoscere le white spots di origine traumatica e/o batterica dalle altre patologie che interessano lo smalto o la struttura del dente, con riferimento agli ultimi anni.
Risultati: Sono state utilizzate diverse tecniche e tecnologie per prevenire e trattare le white spot, tra cui sbiancamento, micro-abrasione, resina infiltrante, gel al CPP-ACP e vernici al fluoro. I gel di CPP-ACP e fluoro sono utilizzati sia per la prevenzione che per il trattamento, rilasciando calcio, fosfato o fluoro per remineralizzare le zone demineralizzate agendo come serbatoi di minerali sulla superficie del dente. Secondo la letteratura, i gel al fluoro e CPP-ACP possono essere combinati in base alle esigenze individuali del paziente. La resina infiltrante agisce bloccando la progressione delle lesioni occludendo le microporosità del reticolo cristallino, che causano dispersione di luce e un aspetto biancastro opaco delle lesioni. Questa tecnica mira a mascherare le lesioni rendendole simili allo smalto sano circostante. È importante valutare a lungo termine i benefici della resina infiltrante rispetto alle strategie di remineralizzazione e ai restauri convenzionali. Ulteriori studi sono necessari per confermare la longevità dei miglioramenti estetici e clinici ottenuti con la tecnica d'infiltrazione. L'applicazione ripetuta nel tempo di materiali come vernice al fluoro e CPP-ACP ha dimostrato un significativo aumento della remineralizzazione e della micro-durezza delle lesioni dello smalto.

Introduzione

Un problema a noi noto nell’odontoiatria odierna per le sue sfaccettature ed incomprensioni sull’argomento è l’identificazione delle lesioni dello smalto. Ad oggi pochi sono gli strumenti capaci di rilevare con precisione una problematica come una white spot o di una MIH e con essi anche i protocolli per il trattamento dei suddetti. Il ruolo che oggi ricopre l’equipe odontoiatrica è quello di diagnosticare in tempo problematiche legate alla demineralizzazione utilizzando protocolli di remineralizzazione indicati per la lesione riscontrata senza rischio di recidive, senza costi biologici ai danni dei tessuti dentali e con un effetto esteticamente idoneo anche alla volontà e desiderio del paziente.

In passato si credeva che la demineralizzazione fosse semplicemente un deterioramento continuo dello smalto causato dagli acidi prodotti da batteri che iniziava sulla superficie esterna dello smalto. Oggi sappiamo che il primo sintomo clinico della carie è una macchia bianca chiamata “white spot”, con un aspetto gessoso. Se esaminata, la superficie sembra intatta, ma si può notare uno strato di smalto demineralizzato al di sotto. Durante il processo di demineralizzazione, il dente (smalto e dentina) perde calcio e fosfato, nel processo di remineralizzazione, il calcio e il fosfato si diffondono nella bocca grazie all’azione della saliva e si depositano come nuovo materiale nella lesione cariosa iniziale. Quindi la remineralizzazione è un arricchimento del tessuto parzialmente demineralizzato attraverso la formazione di minerali depositati. Questi minerali depositati sono costituiti da una crescita cristallina su cristalli parzialmente demineralizzati già presenti, ma possono anche essere costituiti da una nuova formazione cristallina nelle regioni sotto superficiali dello smalto o della dentina. Il calcio e il fosfato si dissolvono dai cristalli in un ambiente complesso. Da qui si evince il concetto di “pH critico” che descrive bene la situazione in cui si verifica questa perdita netta, un valore inversamente proporzionale alle concentrazioni di calcio e fosfato nella soluzione dell’ambiente locale.

Man mano che il processo di demineralizzazione avanza, gli acidi si diffondono attraverso la struttura interprismatica. I bordi del cristallo dello smalto si demineralizzano, cioè il calcio e il fosfato si separano nella piccola area sotto la superficie (1). Questo processo porta alla formazione di una lesione iniziale, che inizia a una profondità di 10-15 µm al di sotto della superficie. Lo strato superficiale rimane relativamente intatto e non può essere penetrato con uno specillo. Se l’attacco degli acidi continua, sempre maggiori quantità di smalto della sotto superficie saranno demineralizzate e la lesione si diffonderà più in profondità nello strato dello smalto.

Anomalie di struttura

Le anomalie di struttura possono essere definite come il risultato di una perturbazione che incide nella fase dell’odontogenesi corrispondente alla costituzione ed alla mineralizzazione delle matrici dello smalto e della dentina e che è imputabile a fattori causali di varia natura, genetici o extragenetici, sistemici o locali. Le anomalie strutturali dello smalto e della dentina riconoscono una notevole variabilità di manifestazioni (Tab. 1). Tali alterazioni sono permanenti, in quanto, al contrario dell’osso, lo smalto non va soggetto a riorganizzazione strutturale a sviluppo ultimato. I tessuti radicolari non sono coinvolti per il breve periodo della formazione della loro struttura che coincide con l’eruzione dentaria, le anomalie dello smalto comprendono l’ipoplasia e l’ipocalcificazione. Nell’ipoplasia dello smalto si ha smalto di spessore ridotto, ma di consistenza normale, mentre, nell’ipocalcificazione dello smalto si ha smalto di spessore normale ma di consistenza ridotta. L’eziopatogenesi di tali anomalie possono essere varie problematiche descritte in Tabella 2.

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Amelogenesi Imperfetta

In pazienti affetti da amelogenesi imperfetta riscontrano su tutti gli elementi dentari perdita di sostanza di smalto e colore anomalo: giallo, marrone o grigio. I denti, inoltre, hanno un rischio più elevato per le affezioni cariogene e sono ipersensibili ai cambiamenti di temperatura, causati dalla perdita di smalto. Inoltre, in soggetti affetti da amelogenesi imperfetta sono state ritrovate mutazioni in vari geni, quali i geni AMELX, ENAM, KLK-4 e alla metalloproteinasi-20 della matrice (MMP20, smaltolisina), che forniscono istruzioni per la produzione di proteine che sono essenziali per il normale sviluppo dei denti. Le proteine da essi codificate sono coinvolte nella formazione dello smalto, per cui mutazioni che vadano ad alterare la struttura di tali proteine, ovvero ne impediscano la produzione avranno come risultato la produzione di uno smalto sottile o morbido e di colore giallo o marrone. L’amelogenesi imperfetta può avere modelli di eredità diversi a seconda del gene alterato. La maggior parte dei casi è dovuta a mutazioni nel gene ENAM e sono ereditati con carattere autosomico dominante. L’amelogenesi imperfetta può anche essere ereditata con modello di trasmissione autosomica recessiva: questa forma della malattia può essere causata da mutazioni nel gene ENAM e la metalloproteinasi-20 della matrice. In circa il 5% dei casi essa è causata da mutazioni nel gene AMELX e l’ereditarietà è del tipo X-linked (una condizione è considerata X-linked, se il gene mutato che causa la malattia è localizzato sul cromosoma X, uno dei due cromosomi sessuali).

Fluorosi

I sintomi di tossicità acuta compaiono entro i 30 minuti dall’ingerimento e possono persistere anche per 24 ore. Il fluoro deglutito in eccesso reagisce con gli acidi presenti nello stomaco, producendo fluoruro di idrogeno (HF), che è molto irritante. La tossicità del fluoro si manifesta a più livelli (tab. 3). La Fluorosi dentale è l’ipomineralizzazione dello smalto, o anche di dentina, dovuta a ingestione cronica di fluoro, in eccesso rispetto ai livelli ottimali, durante la fase di sviluppo del dente, quindi in fase pre-eruttiva. La fluorosi può verificarsi solo come risultato di assunzione sistemica, mai topica, di fluoro. È dimostrato da studi condotti in tutto il mondo che la fluorizzazione delle acque potabili consumate da bambini è efficace nel ridurre la prevalenza delle carie, ma è stata responsabile, e potrebbe ancora esserlo, di un’elevata prevalenza di casi gravi di fluorosi riscontrate nella popolazione italiana nei primi del Novecento. Il sospetto che l’acqua fosse responsabile della fluorosi dentale rese necessarie indagini mirate a stabilire che la responsabilità di questa grave prevalenza era non il fluoro in sé stesso, ma la sua concentrazione. Successivi studi che si fecero in USA stabilirono che la percentuale di fluoro in alcune acque era variabile da 0.1 a 6.5 ppm. Facile quindi capire l’imponenza del danno, dal momento che sappiamo che il quantitativo di fluoro giornaliero non deve essere superiore a 1 ppm. La prevalenza e la gravità della fluorosi sono considerate dose-dipendente, cioè strettamente correlate ai fattori in tabella 4. La fluorosi, sebbene possa interessare sia la dentatura decidua sia quella permanente, tende ad essere prevalente e rilevabile in quella permanente. La deposizione di fluoro sulla matrice dello smalto avviene durante la fase di calcificazione dello sviluppo del dente: se l’incorporazione di fluoro, sotto forma di fluorapatite, è eccessiva (>2ppm), l’attività ameloblastica risulta danneggiata, causando la formazione di una matrice dello smalto difettosa. L’area interessata può apparire discromatica ed esteticamente danneggiata, come una macchia bianca o marrone. Queste white spot sono piccole aree bianche opache ed irregolari, presenti sulla superficie del dente fin dalla sua eruzione.

Molar Incisor Hypomineralization (MIH)

L’Accademia Europea di Odontoiatria Pediatrica (EAPD) ha definito la Molar Incisor Hypomineralization (MIH)(2) un’ipomineralizzazione dei molari e degli incisivi, come un difetto nella mineralizzazione di uno e/o quattro primi molari permanenti, a volte, associati ad incisivi permanenti analogamente colpiti. Si presenta come opacità delimitata di misura e gravità variabile. Le lesioni presentano confini chiari di colore bianco, giallo o marrone e possono sviluppare rotture in fase post-eruttiva dello smalto. La MIH è probabilmente causata da un disturbo durante la calcificazione iniziale e / o la maturazione dello smalto dei denti colpiti (3,4). L’evidenza attuale sull’ eziologia della MIH è molto debole, fino ad oggi, non è stato possibile stabilire una relazione causale con qualsiasi particolare agente. Tra le tesi più discusse per l’eziologia della MIH si ritrova: suscettibilità genetica, asma, infezioni del tratto respiratorio superiore, otite media, diossine nel latte materno, tonsilliti, malattie esantematiche, carenza di vitamina D, problemi di salute correlati al periodo pre- peri-post natale. Per riassumere quindi, problemi di salute generale, che si sono manifestati nei primi 3 anni di vita, quindi nel periodo di mineralizzazione dei primi dei molari e incisivi centrali permanenti. Inoltre, negli ultimi anni i ricercatori stanno indagando sulla correlazione tra MIH e l’utilizzo di alcuni antibiotici, tra cui l’amoxicillina (5,6,26).

Ipoplasia dello smalto

L’ipoplasia dello smalto è un difetto dello smalto dentale che causa uno sviluppo di smalto inferiore alla norma. Questo difetto può essere rappresentato da singole fossette o essere esteso all’intero dente provocandone la deformazione e compromettendone le proprietà meccaniche. L’ipoplasia dello smalto può riguardare uno o più denti. La colorazione può essere bianca, gialla o giallo-marrone con una superficie scabrosa o butterata. In alcuni casi, oltre alla quantità, è compromessa anche la qualità dello smalto. Si ritiene che responsabili dell’ipoplasia dello smalto siano i fattori ambientali e genetici che intervengono nella formazione dei denti. Tali fattori includono traumi dentali, infezioni durante la gravidanza o la prima infanzia, denutrizione pre e post natale, ipossia, esposizione ad agenti chimici tossici e una vasta gamma di anomalie ereditarie.

Tab. 3
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Celiachia

La celiachia è una malattia infiammatoria della mucosa dell’intestino tenue, che causa un progressivo appiattimento dei villi intestinali, fino alla loro completa atrofia, e un conseguente malassorbimento. La celiachia è dovuta a una intolleranza nei confronti di una frazione proteica del glutine, chiamata gliadina, in soggetti geneticamente predisposti. Il danno è determinato dai fattori elencati in tabella 5. Se la malattia celiaca insorge durante lo sviluppo dei denti permanenti, (prima dei 7 anni), si possono verificare anomalie nella struttura dello smalto. La letteratura sostiene che tali difetti sono prevalenti nella dentizione mista/permanente (9,5%-95,9%; media 51,1%) rispetto alla decidua (5,88%-13,3; media 9,60%). Questo dato si spiega considerando che lo sviluppo delle corone dei denti permanenti si verifica tra i primi mesi di vita e il settimo anno (dopo l’introduzione del glutine), mentre la formazione dei denti decidui avviene principalmente a livello uterino. Tuttavia, la presenza di difetti dello smalto anche in dentizione decidua supporta l’ipotesi che fattori immuno-genetici siano coinvolti nello sviluppo delle anomalie dentarie correlate alla celiachia. Aine ha classificato l’ipoplasia dello smalto dei celiaci in quattro gradi. L’ipoplasia di grado I e II sono di più comune osservazione. Questi difetti hanno una disposizione cronologica, ossia la noxa patogena ha agito nello stesso periodo, determinando delle lesioni che sono tutte alla stessa altezza delle superfici dentali. Tali lesioni sono inoltre distribuite in maniera simmetrica nei quattro quadranti. Gli incisivi sono i denti più colpiti, seguiti dai molari, canini e premolari. Tale differente distribuzione sembra essere correlata allo sviluppo cronologico della dentizione permanente, essendo gli incisivi e i primi molari i primi denti a calcificare. Il minor coinvolgimento dei denti che calcificano successivamente potrebbe essere spiegato considerando che il loro processo di calcificazione inizia quando la malattia celiaca dovrebbe essere già stata diagnosticata e quindi il glutine eliminato dalla dieta. Ci sono due ipotesi del come la celiachia interferisce sullo smalto, che aspettano ancora il supporto definitivo della ricerca. La prima riguarda l’alterato metabolismo fosfo-calcico dovuto al malassorbimento presente nel celiaco. La seconda ipotesi teorizza la formazione di auto-anticorpi anti-matrice organica dello smalto con interferenza nei processi di differenziazione e mineralizzazione.

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White Spot

Il termine White Spot è un termine che comprende diverse condizioni, tra cui la demineralizzazione dello smalto causata dalla placca batterica, la demineralizzazione causata dai trattamenti ortodontici e le lesioni dello sviluppo dello smalto. Clinicamente, la white spot si manifesta come una macchia bianco-gessosa a causa della dissoluzione dei tessuti duri dello smalto sotto superficiale, senza coinvolgimento dello strato più esterno dello smalto e senza alterazione morfologica della superficie del dente. Nonostante non sia una lesione cavitata, la white spot può nascondere un aumento della placca batterica a livello dentinale e può evolvere in una lesione cariosa, quindi è importante monitorare la lesione ed inserirla in un piano di prevenzione. Recentemente, l’ortodonzia moderna, sta studiando un approccio diverso per prevenire le white spots, con l’uso preferenziale dell’ortodonzia linguale anziché degli apparecchi tradizionali ampiamente utilizzati. Tuttavia, la prevenzione delle white spots rimane ancora una sfida in ortodonzia e igiene orale, poiché possono causare problemi estetici e sono fattori di rischio per lo sviluppo di carie ed anche in assenza di fattori di rischio, le white spots possono formarsi rapidamente e la composizione salivare individuale (7) può influenzare la suscettibilità alla formazione di queste lesioni, tenendo conto che gli approcci mininvasivi sono limitati ed inefficaci per lesioni più profonde (8).

International Caries Detection and Assessment System ICDAS

Il sistema ICDAS è un metodo per rilevare le lesioni precoci dello smalto a seconda della fase di progressione nonché le ovvie carie della dentina secondo la loro progressione e per la pianificazione di misure preventive individualizzate. Il concetto ICDAS è l’uso di un sistema standardizzato, basato sulle migliori evidenze disponibili per la rilevazione preventiva e terapeutica della gravità nelle diverse fasi della carie. Permette di portare all’acquisizione di informazioni di migliore qualità, che potrebbero poi essere utilizzate per informare le decisioni sulla diagnosi del caso, prognosi, e gestione clinica della carie dentale. ICDAS oltre ad essere una classificazione codificata ci sono semplici processi d’esame impiegati come parte del sistema. Un elemento importante della visita è l’igiene orale professionale dei denti per aiutare il rivelare la carie e il punto di stagnazione della placca e l’uso dell’aria compressa, necessario per rivelare i primi segni visivi di carie (Tab. 6).

Tab. 6
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Diagnostica Strumentale

Il concetto di diagnosi precoce è fondamentale per effettuare valutazioni cliniche tempestive di lesioni che possono essere fermate prima che diventino irreversibili e richiedano un restauro. Ancora più interessante è la possibilità di diagnosticare le lesioni cariose nella loro fase iniziale e di avere misurazioni quantitative della loro condizione. L’obiettivo è quindi quello di applicare la terapia di “remineralizzazione” per invertire il processo di lesione utilizzando prodotti remineralizzanti, la cui efficacia clinica è documentata e dimostrata, utilizzando anche metodi di diagnosi precoce quantitativa per valutare il progresso. In passato, i metodi comuni per diagnosticare la carie consistevano nell’esame visivo e tattile dei denti, l’utilizzo delle radiografie tradizionali e l’adozione di nuove tecnologie. Nel corso del tempo, la transilluminazione a fibre ottiche è stata gradualmente introdotta come pratica clinica standard per la diagnosi delle carie durante gli esami di routine (29).

Fluorescenza Laser indotta

Il dispositivo laser portatile per la fluorescenza indotta è un pratico strumento che può essere facilmente trasportato da una sala operatoria all’altra durante gli esami dei pazienti. Negli ultimi anni è diventato un accessorio clinico consolidato per la diagnosi della carie nelle cavità e nelle fessure. Il suo funzionamento è abbastanza semplice e, sebbene non fornisca una misurazione quantitativa, è in grado di indicare in modo affidabile le aree coinvolte che spesso non sono individuabili visivamente o tramite radiografie. Il dispositivo è costituito da una luce laser a diodi monocromatica dalla lunghezza d’onda di 655 nm che viene emessa da una fibra ottica, in grado di rilevare tramite un feedback di fluorescenza al laser dal dente identificando porfirine batteriche e perdite di minerali (9) fornendo una lettura numerica (10). Il punteggio è compreso tra 0 a 99. Questo range numerico offre la possibilità di monitorare il comportamento della lesione46. Un valore da 0 a 20 si consiglia nessuna terapia preventiva o terapeutica; un valore di 20 o superiore indica rilevazione di carie9; da 21 a 29 si consiglia una terapia preventiva o terapeutica; da 30 a 99 si consiglia una terapia terapeutica (9). I fattori che possono influenzare il risultato delle misurazioni possono essere vari: placca, tartaro, macchie sulla superficie del dente e grado di disidratazione del tessuto dentale, quindi si raccomanda di eseguire una profilassi orale e lucidatura ai denti da sottoporre alle misurazioni. Nelle precedenti revisioni sistemiche è stato osservato una superiore sensibilità ma una scarsa specificità (11), associando una maggiore probabilità di falsi positivi.

Transilluminazione a fibre ottiche

La transilluminazione a fibre ottiche è stata migliorata grazie a uno strumento chiamato DIFOTI, utilizzato per la diagnosi precoce dello smalto demineralizzato. Questo metodo si basa sulla transilluminazione dei denti con luce intensa a fibre ottiche. Le lesioni cariose hanno proprietà ottiche diverse dai tessuti dentali circostanti e la FOTI amplifica le variazioni di dispersione e assorbimento dei fotoni della luce nel tessuto carioso, rendendo la lesione visibile come un’ombra scura. Questo metodo è stato utilizzato come supporto all’esame visivo, ma fornisce solo informazioni qualitative. Il principale vantaggio di questo metodo è che è non invasivo e può essere utilizzato frequentemente.

Radiografia

Lo studio radiografico dei denti e dell’apparato stomatognatico è il metodo più comune utilizzato nella diagnosi della carie in odontoiatria. L’apparecchio radiologico emette radiazioni (Raggi X) che attraversano il corpo e vengono registrate su una pellicola radiografica. La radiografia dentale ottenuta permette al clinico di esaminare in dettaglio la situazione. Per la diagnostica per immagine delle demineralizzazioni possiamo prendere in considerazione la tecnica Bitewing, anche conosciuta come radiografia coronale o tecnica “a mordere”. Si tratta di una radiografia intraorale eseguita su una pellicola di dimensioni ridotte (circa 30 x 40 mm) che mostra alcuni denti superiori e inferiori. Questa tecnica utilizza sensori posizionati orizzontalmente sul lato interno delle corone dei denti e non presenta problemi di ingrandimento o deformazione delle immagini. Il tubo deve essere orientato in modo che i raggi siano perpendicolari alla faccia vestibolare del dente, in particolare devono essere paralleli agli spazi interprossimali dei denti da esaminare. In caso contrario, si avrebbe una sovrapposizione delle facce interprossimali dei denti adiacenti, rendendo difficile la loro visualizzazione chiara, che è lo scopo principale dell’esame. Tradizionalmente, la carie dentale viene rilevata in base al colore visibile e ai cambiamenti nella struttura utilizzando l’esame visivo-tattile e la radiografia. Tuttavia, la radiografia da sola è poco efficace nella rilevazione delle prime lesioni di carie nello smalto e nel monitoraggio del loro progresso. Nonostante la sua bassa specificità nella diagnosi di lesioni precoci, è sempre consigliabile eseguire una radiografia bitewing. Recentemente, è stata introdotta anche la radiografia digitale, una tecnica radiologica relativamente nuova in cui l’immagine viene visualizzata su un monitor del computer e salvata su supporti informatici, invece di essere sviluppata su una pellicola. La radiologia digitale o numerica è l’applicazione delle tecniche informatiche all’acquisizione, elaborazione e archiviazione delle radiografie. Utilizza immagini diagnostiche gestite da un computer, mentre le immagini tradizionali sono analogiche. Nella radiologia odontoiatrica, sono state adottate diverse tecniche digitali, come le piastre di fosforo a memoria, i sensori a carica accoppiata e la tomografia computerizzata (TC).

PROTOCOLLI DI TRATTAMENTO

Strategie di remineralizzazione

L’applicazione topica dei fluoruri rappresenta oggi il gold-standard nelle procedure cliniche di remineralizzazione. Negli ultimi anni, tuttavia, sono state sviluppate nuove strategie per aumentare l’assorbimento nei tessuti duri dentali di fluoruro e di altri ioni coinvolti nei processi di formazione dei cristalli di apatite. In questo capitolo sono descritte tali strategie di remineralizzazione e le procedure cliniche ad esse correlate.

Nanocomplessi del CCP-ACP

Oltre al fluoruro, il complesso fosfopeptidi della caseina-fosfato di calcio amorfo (Casein Phosphopeptide- Amorphous Calcium Phosphate, (CPP-ACP) è la sostanza remineralizzante più ampiamente studiata, ed è stata anche incorporata nei chewing-gum e nelle creme da applicare sulle superfici dentali, queste paste contenenti casein phosphopeptide-amorphous e calcium phosphate sono inserite anche nelle linee guida del Ministero della Salute della Repubblica Italiana. L’uso clinico di questa sostanza è supportato da una vasta letteratura scientifica comprendente anche revisioni sistemiche. Questa sostanza, unica nel suo genere e di derivazione naturale, è in grado di esplicare un’attività remineralizzante basata sui fisiologici processi di remineralizzazione peptido-dipendenti; essa è composta da specifici fosfo-peptidi derivati dalle caseine del latte, legati al fosfato di calcio amorfo per formare complessi stabili (nanoparticelle del diametro di 2 μm dotate di ampia area superficiale per lo scambio di minerali). La configurazione dell’ACP nel complesso CCP- ACP differisce completamente da quella presente negli aggreganti macromolecolari di ACP presenti nella formulazione farmaceutica di alcune paste per profilassi e gel sbiancanti. Il gel è stato sintetizzato per risolvere il problema della stabilizzazione degli ioni calcio, affinché questi potessero essere rilasciati in forma bio-disponibile direttamente sulle superfici dentarie interessate da processi di demineralizzazione. Il raggiungimento di tale risultato è di primaria importanza per tutti gli altri tessuti duri dentari così come per gli altri tessuti duri dell’organismo. Lo studio dei processi fisiologici di stabilizzazione, trasporto e distribuzione del calcio da parte delle fosfo-proteine ha reso possibile l’identificazione di particolari sequenze peptidiche della caseina del latte di bovino; tali peptidi, formano l’impalcatura di nano-complessi con proprietà remineralizzanti peculiari, sono dotati di una singolare efficacia nella prevenzione della carie. Nel latte, i fosfo-peptidi della caseina stabilizzano gli ioni calcio e fosfato attraverso la formazione di complessi. Il fosfato di calcio contenuto in questi complessi è biologicamente disponibile per l’assorbimento intestinale; prendendo spunto da tale fenomeno, sono stati sviluppati prodotti commerciali contenenti calcio e fosfato bio-disponibili nella forma e nel rapporto molecolare appropriati per la remineralizzazione di lesioni cariose nella zona sub- superficiale dello smalto. Aggregati di serina fosforilata sono responsabili dell’interazione che avviene nel latte bovino tra caseina e fosfato di calcio, e tale interazione a sua volta dà luogo alla formazione di micelle di caseina (12). Il CPP-ACP è, in estrema sintesi, una nanotecnologia proteica che contiene e rilascia ioni calcio, fosfato, e fluoruro, con modalità del tutto differenti rispetto agli altri agenti remineralizzanti che sono fondamentalmente tecnologie minerali. Il fosfato di calcio amorfo si forma attorno ai fosfo-peptidi ed è pertanto strutturalmente diverso dal macro-materiale ACP descritto in precedenza. La proporzione precisa è di 144 ioni calcio più 96 ioni fosfato e 6 di fosfo-peptidi della caseina (CCP). I nano-complessi si formano in presenza di valori di pH compresi tra 5.0 e 9.0. Rispetto al TCP puro, sotto forma di lega o rivestito da composti organici, le particelle di CPP-ACP sono molto più piccole e di differente composizione. Soprattutto, l’azione r- mineralizzante e si realizza efficacemente sia in pH acido (valori inferiori a 4) sia in condizioni di neutralità o di alcalinità. I CPP, prodotti per azione della tripsina sulla caseina del latte, sono fatti reagire con il fosfato di calcio e quindi purificati mediante ultrafiltrazione. In condizioni alcaline, il fosfato di calcio è presente in fase alcalina amorfa complessata con i CPP. I CPP, legandosi, formano aggregati di ACP in soluzione metastabile, prevenendone così la crescita fino alla dimensione critica necessaria per la nucleazione e la precipitazione (13). In condizioni neutre e alcaline, i CPP stabilizzano gli ioni calcio e fosfato, formando soluzioni metastabili che sono soprasature rispetto al fosfato di calcio. La quantità di calcio e fosfato legato dai CPP aumenta all’aumentare del pH, fino a che i CPP hanno legato il loro equivalente in peso di calcio e fosfato. L’effetto re- mineralizzante del CPP-ACP è documentato da un’ampia mole di evidenze sperimentali e cliniche. Il CPP-ACP è sensibile alle variazioni di pH: all’aumentare del valore di pH cresce anche il livello di ACP presente in forma legata, con conseguente stabilizzazione del calcio e del fosfato liberi; pertanto, non si può verificare precipitazione spontanea di fosfato di calcio. In virtù di tale proprietà, il complesso CPP-ACP è intrinsecamente dotato di attività anti-tartaro. Il CPP-ACP, a differenza di altre molecole contenenti calcio,è molto efficacie nell’innalzare i livelli di calcio nella placca, evento di fondamentale importanza nel promuovere la re- mineralizzazione (14). A riguardo, uno studio comparativo condotto su soluzioni contenenti fosfato di calcio, ha dimostrato che soltanto il collutorio contenente il CPP-ACP era in grado di aumentare significativamente i livelli di calcio e fosfati inorganici nella placca (15). C’è una forte correlazione tra remineralizzazione e la concentrazione della coppia ionica neutra CaHPO4 (fosfato bi-calcico). Attraverso la stabilizzazione del fosfato di calcio in soluzione, il CPP agisce sui gradienti di concentrazione di ioni calcio e fosfato e di coppie ioniche nelle lesioni sub-superficiali, fenomeno che spiega l’elevata entità di remineralizzazione dello smalto sub- superficiale che può essere raggiunto quando sono utilizzate soluzioni, chewing-gum, compresse e creme che contengono il CPP-ACP. Il rilascio simultaneo di calcio, fluoruro e fosfato permettono di modulare efficacemente la concentrazione di fluoruro nella placca. Tale concentrazione influenza a sua volta il metabolismo batterico e il processo di remineralizzazione. Oltre ad essere un efficace agente anti-carie per la carie dello smalto (16) il CPP-ACP si è dimostrato efficace anche nel prevenire la carie delle superfici radicolari in pazienti xerostomici (17); inoltre è più efficace della saliva nei processi di remineralizzazione delle lesioni sub-superficiali dello smalto associate ad attacco batterico o erosivo (18). Questo risultato è di particolare importanza per i pazienti con carie o erosioni associate ad alterazioni della produzione di saliva; in questi pazienti l’uso quotidiano di una crema contenente CPP-ACP garantisce significativi effetti preventivi rispetto a queste lesioni L’attività anti-carie non si realizza soltanto attraverso la modulazione dei processi di demineralizzazione e remineralizzazione. Una crescente evidenza scientifica, infatti, supporta l’ipotesi che il CPP-ACP possa influenzare la patogenicità della placca attraverso diversi meccanismi: 1) legame con le adesine degli streptococci mutans con conseguente inibizione della colonizzazione della placca da parte di questi batteri; 2) aumento dei livelli di ioni calcio nella placca con la conseguente inibizione del metabolismo fermentativo dei batteri della placca; 3) rilascio di proteine e fosfato che tamponano il pH della placca, con conseguente inibizione delle specie aciduriche anche in presenza di concentrazioni elevate di carboidrati fermentabili. È stato dimostrato che l’applicazione sulle superfici dentali di una crema CPP-ACP, immediatamente prima dell’assunzione di saccarosio, riduce la produzione di acide nella placca. Numerosi studi in situ hanno dimostrato che il CPP-ACP, veicolato in gomme, compresse e collutori, esplica attività remineralizzante nei confronti di lesioni dello smalto sub-superficiale(5,6). Il CPP-ACP è stato anche usato incorporato nei dentifrici. È stato altresì dimostrato che l’aggiunta di CPP-ACP ai cibi incrementa la loro azione cariostatica. In particolare, è stato osservato un aumento dell’entità della remineralizzazione di lesioni dello smalto sub-superficiale quando il CPP-ACP è stato aggiunto al latte bovino a concentrazioni di 2.0 o di 5.0 g/l. Assumendo 200 ml di latte una volta al giorno per 3 settimane consecutive , si osserva un aumento del contenuto minerale dello smalto del 70% e del 148%, a seconda della concentrazione del CPP- ACP presente nel latte, rispetto a quanto osservato dopo assunzione di latte non addizionato. È stato dimostrato che il CPP-ACP aggiunto alle bevande acide annulla i loro effetti erosivi. Un importante obiettivo della ricerca in questo ambito è stato quello di determinare la più bassa concentrazione del CPP-ACP da aggiungere alle bevande acide per inibire efficacemente l’attività erosiva. Per raggiungere tale risultato, è stata utilizzata una bevanda energetica zuccherata, cui è stato aggiunto il CPP-ACP in concentrazioni comprese tra 0.063% e 0.25%. Studi in vitro condotti con l’ausilio della stereomicroscopia, della microscopia elettronica a scansione, e della profilometria di superficie hanno dimostrato che l’aggiunta del CCP-ACP in concentrazione pari a 0.25% aumenta il pH da a 3.90, ed abbassa l’acidità titolabile da 1.83 a 1.36. La perdita di smalto a causa erosiva della bevanda si riduceva da 3.87 μm a 0.19 μm, valore sovrapponibile a quello dei campioni di smalto immersi in acqua distillata (0.25 μm). La riduzione dell’effetto erosivo della bevanda era osservabile fino alla concentrazione di 0.09%. Pertanto, l’effetto erosivo di bevande zuccherate è attenuato o eliminato completamente aggiungendo alla bevanda basse concentrazioni del CPP-ACP. I fosfopeptidi della caseina contenenti la sequenza amminoacidica Ser(P)-Ser(P)-Glu-Glu si legano, oltre che al calcio e fosfato, anche al fluoruro e possono anche stabilizzare il fluoruro-fosfato di calcio dando luogo a complessi solubili. Questi complessi, indicati con l’acronimo CPP-ACFP, sono nano-complessi costituiti dal frammento 57-59 della caseina alfa-S1 e hanno dimensioni di circa 2 nm; dal punto di vista stechiometrico, ogni peptide lega 15 ioni di calcio,9 di fosfato e 3 di fluoruro. Il complesso CPP-CFP è dotato di un’attività remineralizzante maggiore rispetto l fluoruro o al complesso CPP-ACP. Studi clinici su collutori e dentifrici contenenti CPP-ACP e fluoruro hanno fornito interessanti risultati sugli effetti sinergici ottenibili dall’associazione dei due agenti remineralizzanti. Per esempio, l’aggiunta di CPP-ACP a collutorio al fluoro aumenta l’incorporazione di fluoro nella placca. L’entità della remineralizzazione indotta da un dentifricio contenente CPP-ACP in associazione a fluoruro è maggiore sia a quella ottenuta con CPP-ACP da solo sia a quella ottenuta con i dentifrici fluoruro, anche ad alte concentrazioni(30). Tali studi hanno dimostrato che la crema senza fluoruro re-mineralizza lesioni iniziali dello smalto in modo più efficace quando è applicata dopo l’uso di dentifricio contenente fluoruro(31).

Resina infiltrante

L’infiltrazione di resina è un approccio innovativo inizialmente proposto per fermare il processo di carie in zone prossimali, ed in seguito anche per lesioni non cavitate (19). Lo scopo della tecnica d’infiltrazione è quello di demineralizzare lo smalto superficiale con acido cloridrico per permettere la penetrazione di una resina foto-polimerizzabile a bassa viscosità nel corpo poroso della lesione (20). Questa tecnica porta diversi vantaggi: stabilizzazione meccanica dello smalto demineralizzato, conservazione biologica dei tessuti, l’occlusione permanente dei micro pori superficiali della cavità, otturazione di zone porose e profondamente demineralizzate, l’arresto del progresso della lesione, aumento della resistenza della demineralizzazione, ridotto al minimo rischio di sviluppo di carie secondarie, ed è una tecnica molto accettata dai pazienti (21, 22, 23). L’aspetto della white spot è il risultato di un complesso fenomeno ottico, con l’interazione di un labirinto ottico costituito da una rete di porosità nella lesione, portando ad un massimo di riflessione i fotoni. Infiltrando la resina con un indice di rifrazione vicino allo smalto sano nelle porosità lesionate, la trasmissione dei fotoni attraverso lo smalto ipomineralizzato migliora, il che rende lo smalto traslucido perdendo così il suo aspetto bianco opaco. La tecnica d’infiltrazione, la cui efficacia su lesioni superficiali è confermata da recenti studi (24) nel caso di white spot come la MIH o certi tipi di ipomineralizzazione di origine traumatica, o addirittura gravi casi di fluorosi, ancora non è stata proposta come giusto approccio terapeutico. Si è sviluppato una tecnica chiamata “infiltrazione profonda” (25), utilizzata nei casi in cui le lesioni hanno origine a livello della giunzione dentina-smalto e si estendono nello smalto, come la MIH. Rispetto all’infiltrazione superficiale, l’infiltrazione profonda produce leggermente un alto grado di perdita di smalto. In questi casi, durante le fasi successive di diverse applicazioni di HCl, non si raggiunge quello che potrebbe essere chiamato il “tetto” della lesione. L’ Infiltrazione si svolge sul livello di smalto sano e quindi non produce un effetto ottico favorevole, per questo motivo i trattamenti d’infiltrazione per lesioni MIH hanno poco o quasi mai successo. In casi in cui la lesione origina dalla superficie, ma è molto profonda, come alcune forme di ipomineralizzazione traumatico o gravi tipi di fluorosi; il tetto di lesione viene raggiunto rapidamente, ma solo una piccola parte della lesione è infiltrata (30 a 40 µm ) e il camouflage rimane insufficiente. L’indicatore di un buono effetto camouflage è dato dall’alcool che ha relativamente un alto indice di rifrazione offre un’anteprima, in modo meno efficace, di ciò che sarà raggiunto dalla resina. Quando l’applicazione di alcool sembra mascherare la lesione in una certa misura, questo è un segno che il tetto della lesione è stata raggiunto o, nel caso di una lesione profonda, che l’infiltrazione sarà sufficiente. Se l’alcool non produce questo effetto, sia erosione chimica dovrebbero essere ripetute l’applicazione di HCl o ulteriori micro- abrasioni, in particolare nelle zone in cui nessuna modifica ottica è visibile. L’efficacia di questo approccio per tutti i tipi di eziologia. Da ricordare che l’infiltrazione di resina non è efficace contro le lesioni pigmentate (28). Quando la lesione è infiltrata, il colore ri-emerge molto chiaramente. La soluzione ideale sarebbe di ripristinare una situazione da white spot. Pertanto, lo sbiancamento è spesso una tecnica utile in modo da trasformare una lesione pigmentata in un punto bianco. In alcuni casi, lo sbiancamento da solo può essere sufficiente e il paziente può non desiderare di procedere alla fase d’infiltrazione.

Vernici al Fluoro

La somministrazione di fluoro per via topica è un valido ausilio, può essere effettuata a qualunque età, dal momento che ha l’obiettivo di promuovere i processi di remineralizzazione dello smalto e di inibire la crescita batterica e la produzione di acidi. Le linee guida del ministero della salute della Repubblica Italiana, indicano che l’utilizzo di paste fluorate riducano l’incidenza della carie ed ovviamente delle demineralizzazioni (white spot). Numerosi studi clinici hanno evidenziato come, in età adulta, l’utilizzo di paste fluorate comporta una sensibile riduzione della formazione di nuove carie. La percentuale di riduzione sarebbe del 33,3% rispetto al gruppo controllo con placebo. I fluoruri topici per usi clinici ambulatoriali sono di due tipi: Vernici o gel, alla fluoroprofilassi topica si aggiunge una fluoro profilassi domiciliare di supporto con dentifrici e collutori al fluoro. In casi più specifici di white spot si usano le vernici al fluoro, con ingrediente attivo: 22600 ppm di F- (fluoruro di sodio). Il fluoruro precipita formando una barriera minerale di globuli di fluoruro di calcio che occludono i tubuli dentinali bloccando il dolore e stimola la creazione di un deposito di fluoruro sulla superficie del dente. Questo deposito garantisce un apporto di fluoruro allo smalto per un periodo di tempo maggiore. Vernice al Fluoro aiuta a prevenire molto efficacemente le carie della prima infanzia: l’83% dei bambini rimane senza carie. L’ applicazione di Vernice al Fluoro riduce la profondità della lesione del 48%. Le lesioni cariose iniziali (White Spot), se non trattate, possono progredire nella carie vera e propria. La Vernice al Fluoro riduce la profondità delle lesioni cariose iniziali (white spot) del 76%.

Protocolli Clinici

Nelle tabelle 7, 8 e 9 sono riportati i protocolli clinici.

Tab. 7
Tab. 7
Tab. 8
Tab. 8
Tab. 9
Tab. 9

Discussione

Sono state utilizzate diverse tecniche e tecnologie per prevenire e trattare le white spot, tra cui sbiancamento, micro-abrasione, resina infiltrante, gel al CPP-ACP e vernici al fluoro. I gel di CPP-ACP e fluoro sono utilizzati sia per la prevenzione che per il trattamento, rilasciando calcio, fosfato o fluoro per remineralizzare le zone demineralizzate agendo come serbatoi di minerali sulla superficie del dente. Secondo la letteratura, i gel al fluoro e CPP-ACP possono essere combinati in base alle esigenze individuali del paziente. La resina infiltrante agisce bloccando la progressione delle lesioni occludendo le microporosità del reticolo cristallino, che causano dispersione di luce e un aspetto biancastro opaco delle lesioni. Questa tecnica mira a mascherare le lesioni rendendole simili allo smalto sano circostante. È importante valutare a lungo termine i benefici della resina infiltrante rispetto alle strategie di remineralizzazione e ai restauri convenzionali. Ulteriori studi sono necessari per confermare la longevità dei miglioramenti estetici e clinici ottenuti con la tecnica d’infiltrazione. L’applicazione ripetuta nel tempo di materiali come vernice al fluoro e CPP-ACP ha dimostrato un significativo aumento della remineralizzazione e della microdurezza delle lesioni dello smalto.

Conclusione

Dall’analisi della letteratura scientifica emerge che il successo nel trattamento delle white spot è strettamente legato alla corretta diagnosi differenziale tra smalto demineralizzato per cause esterne legate a variazioni ambientali nell’ecosistema orale e anomalie strutturali dello smalto dovute a cause interne di natura congenita, sistemica o locale. La demineralizzazione dello smalto sano porta a cambiamenti nella struttura dei prismi dello smalto con diversa riflessione e rifrazione della luce, causando una discromia simile a una macchia bianca. È quindi fondamentale effettuare un’accurata anamnesi, valutazione clinica e strumentale (utilizzando presidi diagnostici sempre più sofisticati) per una diagnosi corretta. Le strategie terapeutiche dipenderanno dal numero di denti interessati e dalla posizione della lesione, mentre la scelta del trattamento più efficace sarà basata sull’analisi costo/benefici, considerando che la tecnica infiltrante offre un risultato estetico immediato ma con scarse evidenze a lungo termine, mentre le tecniche di remineralizzazione con ACP-CPP e Fluoro richiedono maggiore collaborazione da parte del paziente, più visite ambulatoriali e un risultato estetico meno evidente ma più efficace nel tempo.

Bibliografia:
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