INTRODUZIONE
La sindrome di Down (SD) chiamata anche trisomia 21 è la forma più frequente di malformazione cromosomica che può colpire tutti gli esseri umani di qualsiasi etnia, sia maschi che femmine. Il primo a descrivere dettagliatamente il quadro clinico della sindrome fu, nel 1866, un medico inglese, John Langdon Haydon Down (1). La patogenesi della sindrome, però, rimase del tutto sconosciuta fino agli anni Cinquanta, quando nel 1959 il medico francese Jèrôme Lejeune scoprì che era causata dalla presenza di tre cromosomi anziché due nella coppia 21, coniando così il termine di trisomia 21 (2). La presenza di questo materiale cromosomico in eccesso è associata frequentemente a errori che si verificano durante il processo di meiosi, in particolare nell’88% dei casi durante quella materna (3). Infatti l’età materna rappresenta l’unico fattore di rischio noto per la grande maggioranza di gravidanze con feti affetti da SD, poiché si è visto che le donne di età pari o superiore a 35 anni hanno circa cinque volte di più la probabilità di avere una gravidanza a rischio di SD rispetto alle donne di età compresa tra 20 e 29 anni (4).
Attualmente in Italia si stima che vivano circa 38.000 persone con SD con una prevalenza pari a 10,3 persone ogni 10.000 (5,6). Per quanto riguarda l’aspettativa di vita, oggi circa l’80% di questi soggetti ha una speranza di vita che supera l’età di trenta anni e una età media maggiore di 60 anni (5,6).
Le persone con SD presentano delle anomalie somatiche caratteristiche: bassa statura; brachicefalia; collo corto ed epicanto. Questi pazienti sono interessati da disabilità di tipo intellettivo con propensione allo sviluppo della malattia di Alzheimer (7,8).
Dal punto di vista immunologico presentano un’alterata produzione delle immunoglobuline, con livelli bassi di IgM e livelli elevati di IgD e IgG (9). Per quanto riguarda la presenza di IgA secretorie salivari si è visto che il loro tasso di produzione diminuisce con il passare degli anni (10).
La malformazione maggiormente riscontrata nella SD è la patologia cardiaca congenita e le disfunzioni più diffuse sono l’anomalia del setto atrioventricolare (nel 45% dei casi) e la difformità del setto ventricolare (nel 30% dei casi) (11,12).
Per quanto riguarda l’apparato stomatognatico, il 93% dei soggetti Down presenta una III Classe occlusale associata a una III Classe scheletrica che insieme determinano la caratteristica condizione di prognatismo mandibolare (13). Inoltre presentano il morso incrociato sia anteriore che posteriore, spesso associato al morso aperto e, a causa dell’ipotonia della muscolatura periorale, presentano uno scarso sigillo labiale con la peculiare protrusione della lingua affetta da macroglossia (12, 14). Il palato duro assume una conformazione arcuata e stretta (15). A livello dentale molti soffrono di bruxismo e presentano microdonzia di quasi tutti gli elementi dentali (16). Sono frequenti le agenesie dei terzi molari, secondi premolari e incisivi laterali e presentano ritardi nell’eruzione sia della dentizione decidua che di quella permanente (17).
Analizzando la correlazione tra malattia parodontale e sindrome di Down si è visto che la prevalenza di parodontite è significativa, soprattutto tra la popolazione di età inferiore ai 30 anni (18, 19). La forma di parodontite associata alla SD viene definita come manifestazione di malattie sistemiche correlata a disordini genetici di tipo severo, generalizzata e con una progressione rapida la cui causa principale è rappresentata dalla placca batterica associata alla presenza di disordini immunologici (20).
Al fine di valutare lo stato di igiene orale del paziente con sindrome di Down è stato condotto il presente studio, il cui obiettivo è stato quello di analizzare se la tipologia di residenza del paziente (in struttura o presso la famiglia, e la composizione della famiglia stessa) e le diverse abitudini di cura personale del cavo orale (in autonomia o meno), influiscono o no sullo stato di igiene orale.
MATERIALI E METODI
Nel periodo da ottobre 2018 a luglio 2019 nell’ambulatorio di Odontoiatria dell’UOC di Chirurgia Maxillo–Facciale – Ulss 8 Berica, situato presso il poliambulatorio specialistico di Sandrigo (Vicenza), è stata effettuata una raccolta dati che ha previsto la rilevazione dell’indice di placca PCR (Plaque Control Record secondo O’Leary) e la compilazione di un questionario sulle abitudini di igiene orale domiciliare del paziente.
I soggetti candidati allo studio sono stati pazienti afferenti presso l’ambulatorio. Il questionario è stato compilato in forma anonima dall’accompagnatore/caregiver del soggetto il giorno del campionamento e comprendeva domade relative a: tipologia di spazzolino utilizzato, uso di dentifricio e/o collutorio, modalità di esecuzione dell’igiene orale e tipologia di residenza del paziente (in struttura o presso il nucleo famigliare). I criteri di inclusione per i soggetti coinvolti nello studio sono stati: diagnosi accertata di sindrome di Down e collaborazione da parte del paziente, mentre il criterio di esclusione è stato l’edentulia totale.
Per lo svolgimento di questo studio non è stata richiesta l’approvazione del comitato etico in quanto trattasi di studio osservazionale svolto presso l’ambulatorio attraverso la compilazione di questionari in forma anonima.
RISULTATI
Il campione di pazienti selezionati per lo studio è stato di 42 soggetti, 21 femmine e 21 maschi, di età compresa in un range tra i 4 e i 64 anni, di cui 4 con età inferiore o uguale ai 16 anni e 38 maggiori di 16 anni. Dalla suddivisione del campione in base al tipo di residenza è emerso che: 26 pazienti vivevano con entrambi i genitori, 6 pazienti vivevano con un solo genitore, 5 pazienti vivevano con un familiare diverso dai genitori e 5 pazienti vivevano in struttura (comunità alloggio per disabili) (Fig. 1). Sulla base di quest’ultima suddivisione sono state analizzate le seguenti variabili: autonomia nell’igiene orale quotidiana; presidi di igiene orale utilizzati: dentifricio e/o collutorio; tipologia di spazzolino usato: elettrico o manuale e il valore dell’indice di placca.
Dalle analisi statistiche condotte è emerso un indice di placca medio del 48%, evidenziando un livello generale di igiene orale quotidiana medio–bassa e una sola differenza statisticamente significativa tra i differenti luoghi di residenza riguardante l’autonomia nell’igiene orale quotidiana (p – value = 0,007) (Fig. 2). Per le restanti variabili non è stata riportata alcuna differenza: utilizzo di dentrificio e/o collutorio (p – value = 0,16) (Fig. 3) e tipologia di spazzolino (p – value = 0,69) (Fig. 4).
Per quanto riguarda l’indice di placca non è stata rilevata alcuna differenza significativa tra i differenti luoghi di residenza (p – value = 0,32) (Fig. 5). Valutando le diverse abitudini di igiene orale quotidiana è emerso che nessuna di esse risulta influire in maniera significativa nel valore dell’indice di placca: tipologia di spazzolino (p – value = 0,95) (Fig. 6); uso di dentifricio e/o collutorio (p – value = 0,43) (Fig. 7); modalità di esecuzione dell’igiene orale (p – value = 0,06) (Fig. 8).
CONCLUSIONI
La placca batterica rappresenta la causa principale che determina lo sviluppo della malattia parodontale, di conseguenza l’igiene orale domiciliare quotidiana e l’attuazione di programmi preventivi di igiene orale professionale svolgono un ruolo essenziale. Dal presente studio è emerso che nell’ambiente familiare il paziente con la sindrome di Down vive una condizione di autonomia maggiore nello svolgimento delle proprie attività di igiene quotidiane, a differenza di coloro che vivono presso una struttura (comunità alloggio per disabili).
La spiegazione di questo differente grado di autonomia è data dal fatto che nella struttura gli operatori molto spesso devono occuparsi della gestione di più di un paziente e al tempo stesso rispettare una serie di programmi giornalieri con delle tempistiche precise. Frequentemente questa mancanza di tempo porta gli stessi operatori a eseguire l’igiene orale quotidiana al paziente rendendolo di conseguenza, nel corso del tempo, incapace di eseguire in maniera autonoma l’igiene domiciliare. Per tale motivo gli operatori devono dedicare più tempo all’igiene orale quotidiana di questi pazienti, cercando anche di integrare l’utilizzo dello spazzolino elettrico nella struttura. Ma soprattutto è importante che si adoperino per responsabilizzare i soggetti all’esecuzione autonoma della propria igiene orale quotidiana.